» Home page »
Religio » Vecchi e
nuovi ariani «
Vecchi e nuovi ariani: attualità
di Newman
Quando, nel 1981, la casa editrice Jaca Book mi fece
pervenire il libro di John Henry Newman “Gli ariani del IV
secolo”, ne rimasi letteralmente affascinato per due ragioni:
in primo luogo per l’incredibile documentazione storica esibita
dall’autore che attingeva dalla patristica, anche la più
inesplorata. In secondo luogo, per ragioni “personali”,
visto che proprio in quel periodo stavo rompendomi il capo nella
lettura di un famoso erudito fiorentino, l’abate mio consanguineo
Giovanni Lami, il cui libro De Recta Patrum Nicaenorum Fide
Dissertatio (1730) precorreva gli stessi itinerari, confutando
bellicosamente ariani, sociniani [1] e soprattutto calvinisti, rei
di aver accusato i Padri anteniceni di triteismo [2].
Se il Lami intravvedeva il pericolo di sottoporre
la fede al razionalismo e arrivava a sostenere che, essendo gli
apostoli incolti, sicuramente dovevano quanto sapevano e insegnavano
alla Rivelazione, Newman progrediva di gran lunga col discorso,
puntando il dito sulla “falsa libertà di pensiero,
ossia il pensiero che si esercita in un campo dove, per la struttura
della mente umana, non può raggiungere nessun risultato soddisfacente
ed è perciò fuori luogo. In questo campo rientrano
i principi di qualunque genere. Tra questi, i più sacri e
importanti sono da considerarsi le verità della Rivelazione”.
Di qui, “l’errore di assoggettare al giudizio umano
quelle dottrine rivelate che per loro natura l’oltrepassano
e ne sono indipendenti, e di pretendere di determinare con criteri
immanenti la verità e il valore di proposizioni la cui accettazione
si fonda esclusivamente sull’autorità eterna della
Parola di Dio” [3].
Ciò che affascina il lettore di oggi nel discorso
di Newman sugli ariani è la straordinaria attualità
delle sue deduzioni. Per molti versi, l’arianesimo altro non
fu che un adattamento della religione al potere (allora rappresentato
dall’Impero) e il tentativo di creare una fede che recepisse
le istanze politiche della società. Non a caso moltissimi
vescovi ariani, da Saturnino a Valente, si impegnarono completamente
nel favorire l’imperatore Costanzo II nella sua opera di unificazione
dei cristiani attraverso la pace e la ricerca del benessere, mettendo
in secondo piano la fede. Per dirla con Enzo Bellini, studioso di
Newman, questa preoccupazione politica diventava criterio di verità
per approvare o no questa o quella formula di fede. Il criterio
politico, cioè, prevaleva sui criteri di ordine spiccatamente
religioso, come la fedeltà alla tradizione e alla scrittura”
[4].
Dunque, se l’arianesimo rappresenta il tentativo
di ridurre il cristianesimo ad una visione della vita che esaurisce
il suo scopo nella storia, viene da chiedersi se oggi quest’eresia
non abbia ripreso surrettiziamente vigoria, laddove il soccorso
alla sofferenza dei corpi sembra monopolizzare l’azione di
tanti credenti, ignorando la supremazia delle anime. L’idea
stessa di circoscrivere l’azione dei cristiani al riscatto
dalle miserie temporali, contro la quale Newman eccepisce solidamente,
rifacendosi agli oppositori dell’arianesimo, è fortemente
attuale. Come Attanasio o Gregorio Nazianzeno non si stancavano
di ripetere che, tra la pace e la verità, occorreva scegliere
la verità, così Newman, rifacendosi ai testi della
tradizione, riporta l’attenzione sulla prioritaria vocazione
del Cristianesimo.
L’attualità di Newman non sta dunque soltanto nella
sua meditata conversione al cattolicesimo, che oggi lo porta all’onore
degli altari, ma nel suo affrontare la tentazione di tanti cristiani
e di tanti religiosi, oggi più diffusa che mai, di vedere
nella Chiesa uno strumento essenzialmente politico e sociologico,
destinato alla ricerca di una soluzione, magari totale e rivoluzionaria,
dei bisogni umani.
Già nel 1970, Jean Cardonnel, profeta delle
“Comunità di base” e precursore della “Teologia
della liberazione” annunciava: “Dobbiamo creare una
teologia nuova a partire dalla prassi politica perché noi
non riconosciamo Cristo al di fuori degli uomini e delle loro sofferenze,
cosa che ci motiva a promuovere un progetto di rivoluzione che è
l’espressione stessa della nostra fede” (Assemblea delle
Comunità, Amsterdam 1970).
Di fatto, se – con un balzo nel tempo – sostituiamo
il potere di Costanzo II con quello derivato dal marxismo del XX°
secolo, ci troviamo di fronte alla stessa fascinazione: adattare
la religione alle esigenze della politica e del sociale. La “teologia
della liberazione”, di Gutiérrez, di Boff, di Sobrino
e di tanti altri teologi sosteneva appunto di offrire “un
progetto storico di una nuova società che coincida sempre
più con la via indicata da Marx” [5].
La cristianità, ancora vagante tra le macerie
di questo moderno e non sopito arianesimo e baldanzosamente indottrinata
ancor oggi dai neo-ariani che pontificano da tanti media, potrà
ora trovare nel teologo Newman, onorato dal Papa Ratzinger, un solido
elemento di riflessione.
Lucio Lami
Note
1 - Il socinianesimo rifiutava il dogma trinitario,
era incentrato sul razionalismo e non a caso avrebbe più
tardi esercitato un certo peso sul razionalismo settecentesco e
sull’Illuminismo.
2 - Il triteismo ammetteva l’autonomia di ciascuna delle Persone
della Trinità, quasi si trattasse di tre dei.
3 - Crf. Apologia pro vita sua. (Trd.Guidacci-Velocci, Firenze 1967)
4 - Introduzione. In: Newman, Gli ariani del IV secolo, Jaca Book-Morcelliana
5 - Gustavo Gutiérrez, Fe cristiana y cambio social en America
Latina, Salamanca 1973.